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Le Occasioni Ritrovate

Le Occasioni Ritrovate

Ciclo di incontri letterari e percorsi di narrazione per diventare lettori (e scrittori) consapevoli

Il ciclo di incontri letterari “Le occasioni ritrovate”, che è iniziato a settembre 2021, ha il proposito di ridare degna attenzione a quegli scrittori del ’900 italiano che hanno rappresentato un momento importante all’interno del panorama culturale del XX secolo, e che riteniamo debbano essere recuperati alla nostra memoria per raggiungere una maggiore consapevolezza dell’essere sia scrittori che lettori.

Ecco allora che il nostro piccolo contributo è quello di dare di nuovo voce a quella “letteratura di parola” in cui centrale è la ricerca espressiva e stilistica. Una parola che, recuperata nella sua purezza semantica, fonetica e musicale, diventa nuova: uguale a se stessa ma anche elemento perturbante e di fascinazione.

Gli incontri, su piattaforma online, saranno gratuiti, si svolgeranno una volta al mese e saranno tenuti professori universitari, critici letterari e studiosi dei singoli scrittori che verranno di volta in volta proposti. 

Gli incontri si terranno in diretta sul nostro canale YouTube, è sufficiente iscriversi al nostro canale, e poi cliccare sulla campanella per attivare le notifiche delle dirette.

Sulla pagina del canale stesso potrai trovare il conto alla rovescia per l’inizio dell’evento. Fai clic sul pulsante “Imposta promemoria”.

Il promemoria viene impostato nel momento in cui si fa clic sul pulsante. Ti verrà inviata una email da YouTube e potrai visualizzare il promemoria anche da App.

Calendario incontri

Giuseppe Marotta e la sua Napoli, “il libro di tutte le favole”

“Leggendolo, si aveva l’impressione che scrivesse di getto, con estrema facilità d’improvvisazione. Invece aveva il lavoro difficile, lento e faticoso”, scrive Indro Montanelli nella sua Prefazione a Nulla di serio (1946), riferendosi a quello “scrittore straordinario” che è Giuseppe Marotta (Napoli, 5 aprile 1902 – Napoli, 10 ottobre 1963).

Sceneggiatore, giornalista, paroliere e critico cinematografico, Giuseppe Marotta è l’autore di uno dei libri più famosi del secondo dopoguerra, L’oro di Napoli (1947), Premio Bagutta nel 1954, e che Vittorio De Sica portò sul grande schermo.

Napoli e Milano nella sua prosa non sono solo i principali palcoscenici narrativi, ma innanzitutto rappresentano luoghi dell’anima: da una parte  Napoli,  “il mondo dei vicoli e della povera gente” (L’oro di Napoli, San Gennaro non dice mai no, Gli alunni del sole, Gli alunni del tempo); dall’altra quella Milano (A Milano non fa freddo, Mal di galleria,  Le milanesi), che è il simbolo del miracolo economico, la città del “professionalismo giornalistico e letterario” e che, nel dopoguerra, accoglie gli emigranti del sud Italia, alla ricerca di un riscatto, sociale ed economico, a un’esistenza fatta di stenti.

E quella che ci racconta Marotta, tra umorismo e divertita – a volte malinconica – partecipazione, è la vita della sua gente, che si aggira tra quei vicoli bui e umidi dei bassi napoletani: eccoli lì, con il loro parlare in dialetto, i ladri,  gli artigiani, i mendicanti, gli avvocati, i guappi, gli jettatori, i nobili decaduti… Sono loro, teatranti inconsapevoli, i protagonisti di una favola moderna, dolce e amara, tragica e comica, perché Napoli, “ è stata, resta e sarà il libro di tutte le favole”.

Info

Cristiana Lardo è professoressa associata di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Docente dal 1995, tiene corsi di Letteratura italiana e laboratori di scrittura. Ha pubblicato monografie scientifiche su Dino Buzzati, Ludovico Ariosto e molti saggi su vari autori italiani. Ha inoltre tradotto autori della Letteratura francese per importanti case editrici ed è autrice di racconti e di due romanzi.

Pier Vittorio Tondelli, il cantore della contemporaneità

“Scrivere è il modo di fare musica, di esprimere quell’anelito, quell’ansia di assoluto che è la caratteristica di ogni arte”, leggiamo in un’intervista del 1985. Ed è proprio all’interno di questa spiegazione che possiamo inquadrare l’articolato e complesso universo letterario e linguistico di Pier Vittorio Tondelli (Correggio, 14 settembre 1955 – Correggio, 16 dicembre 1991).           Un universo che ci fa scoprire la provincia emiliana con i suoi Silvio D’Arzo e Antonio Delfini, l’America di Jack Kerouac, ma anche le abitudini e i miti degli anni Ottanta, con la loro cultura pop, il linguaggio dei fumetti e della televisione, la musica rock.

Da attento osservatore, Tondelli ci regala così  “un ritratto delle abitudini, delle follie dell’Italia di oggi” (Rimini, 1985). Ma, nello stesso tempo, le sue “occasioni” narrative rappresentano fasi diverse di una costante riflessione sulla scrittura e  sul ruolo dello scrittore, che passa anche attraverso le esperienze editoriali di “Under 25” e di “Mouse to Mouse”.

Lo stile”, spiega Tondelli, “è l’aspetto primario di ogni testo”, ed ecco allora i suoi modelli, i suoi punti di riferimento da cui partire: le indicazioni di una nuova scrittura di Alberto Arbasino; il linguaggio emotivo di Louis-Ferdinand Céline e quello parlato di Gianni Celati, che ritroviamo nei  giovani emarginati, nei drogati e negli omosessuali  di Altri libertini (1980) e di Pao Pao (1982);  fino ad arrivare a una letteratura più sentimentale, più intima (Biglietti agli amici, 1986) che raggiunge il suo punto più alto nella “cantata sentimentale” di  Camere separate (1989): storia d’amore, di lutto, di separazione, ma anche riflessione (ecco le letture in questo periodo di Roland Barthes, Peter Handke, Ingeborg Backmann)  “sul senso della scrittura, dell’amore, del crescere, del perdere”.

“La sua diversità, quello che lo distingue dagli amici del paese in cui è nato, non è tanto il fatto di non avere un lavoro, né una casa, né un compagno, né figli, ma proprio il suo scrivere, il dire continuamente in termini di scrittura quegli che gli altri sono ben contenti di tacere. La sua sessualità, la sua sentimentalità si giocano non con altre persone, come lui ha sempre creduto, finendo ogni volta con il rompersi la test, ma proprio nell’elaborazione costante, nel corpo a corpo, con un testo che ancora non c’è”.

Da Camere separate, Bompiani 2010.

Info

Roberto Carnero insegna Letteratura italiana all’Università di Bologna, presso il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione (Campus di Forlì). È critico letterario ed editorialista per varie testate, tra cui “Avvenire”, “Il Piccolo”, “Famiglia Cristiana”. Tra i suoi ultimi libri, pubblicati da Bompiani: Pasolini. Morire per le idee; Il bel viaggio. Insegnare letteratura alla Generazione Z. Sempre per Bompiani ha curato edizioni di opere di Guido Gozzano e Silvio D’Arzo. Presso Treccani – Giunti TVP è autore, con Giuseppe Iannaccone, di un fortunato manuale di letteratura italiana con antologia di testi per il triennio delle scuole superiori, la cui nuova editio maior si intitola Il magnifico viaggio.

È autore de Lo scrittore giovane. Pier Vittorio Tondelli e la nuova narrativa italiana (Bompiani 2018).

Maurizio De Benedictis, un intellettuale anomalo dei nostri tempi

Saggista poliedrico, narratore, professore universitario, Maurizio De Benedictis (Roma, 2 luglio 1951 – Roma, 23 agosto 2021) è autore di importanti saggi dedicati alla storia della letteratura e alla critica cinematografica (tra cui L’immagine italiana dal 1945 a oggi, 2000, Il cinema americano, 2005; Acting. Il cinema dalla parte degli attori, 2005; Da Paisà a Salò. Parabole del grande cinema italiano; i quattro volumi di Cinemondo; Visioni italiane 2021); e a registi di fama internazionale (Pasolini, Fellini, Ejzenstejn, Šklovskij, Pudovkin, solo per citarne alcuni).

L’esperienza del sapere  rappresenta con De Benedictis un preciso modo di essere e di vivere, “problematico”,  perché problematica è la dimensione del conoscere e dell’esistere. Il sentimento del “tragico” si pone così come chiave di lettura per indagare nodi specifici: il problema del male in Carlo Emilio Gadda (1991); il tema “della vita e del sacrificio” in Pasolini. La croce alla rovescia (1995), il concetto di  finzione in Giorgio Manganelli (1998), “l’individuazione di linee consolidanti e punti di rottura” in Più luce! Immagini di registi, dive e rivoluzioni (1999); il viaggio di tipo dantesco in Linguaggi dell’aldilà. Fellini e Pasolini  (2000). Ed ecco, anche, la sua visione della realtà attraverso le autobiografie di grandi artisti del cinema (Josef von Sternberg,  King Vidor, Bette Davis).

Tra i suoi romanzi  (L’estate di Greta Garbo,2006 Amore e fame d’aria, 2020) e racconti  (Ogni pensiero vola, 2009) si ricorda Un filo di corallo rosso (2018), in cui centrale è la riflessione sul male, questa volta in senso assoluto – nella dimensione emblematica dell’Olocausto nazista –, con i suoi demoni, i suoi angeli, i suoi innocenti.

La scrittura diventa con De Benedictis la trama per delineare la complessità del gioco intellettuale, e soprattutto delle vita; un “gioco” in cui trovano posto i suoi “maledetti&anomali” Jean Genet (2017), Pier Paolo Pasolini (2017) e Yukio Mishima (2023) postumo, 3 autori “espressivamente e biograficamente trasgressivi”, accomunati da  un erotismo assoluto in conflitto aperto con le leggi e le norme della società per affermare la vocazione alle sofferenze e al martirio del desiderio che diviene scrittura.

Info

Gius Gargiulo è ricercatore, professore universitario, saggista, giornalista e drammaturgo. Si occupa di storia delle idee del Rinascimento e dell’Illuminismo, di analisi del racconto cinematografico e dei media, di Italian Studies e di semiotica del marketing all’Université Paris-Nanterre e svolge ricerche in narratologia cognitiva assistita da Intelligenza Artificiale presso il laboratorio MoDyCo/CNRS della stessa Università parigina. Gargiulo è critico cinematografico e letterario della rivista parigina Focus In. Tra le sue pubblicazioni: Passioni e teatri di Casanova, Fiesole, Cadmo, 2002 ; Le Polémoscope de Casanova (traduzione italiana, introduzione ed edizione critica) Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2003;  Terrorismes : L’Italie et l’Allemagne à l’épreuve des années de plomb (1970-1980), (con Otmar Seul), Paris, Houdiard 2008; Transductions: du western américain au western italien, Paris, Attal 2011; Codes narratifs des sagas, Paris, Attal, 2013; Footsophie, Paris Houdiard 2014, Naples ville travestie entre Pasolini et Patroni Griffi, Paris, Houdiard 2015; Hugo Pratt en Argentine, Paris, Firenze, Classi, 2017; Pétrarque dans le night-club de Battisti-Mogol, Paris, Florence, Classi, 2017; Cravates illustrées, Paris Houdiard, 2019; Frontières et Clôtures du Western, Paris, Houdiard, 2020; Assassin’s Creed II, Gaming and Learning History as Immersion in Italian Renaissance, «Annali dell’Istituto Armando Curcio», III», 2021; Le Héros de Capri (fiction bilingue Italiano-Francese), Paris, Houdiard, 2021; Un talk-show avec la fille et le neveu de Giacomo Casanova (fiction bilingue Italiano-Francese) Paris, Houdiard, 2021, Certi film, Paris, Florence Classi, 2022. 

Per ulteriori informazioni sui libri di Gius Gargiulo e per vedere i suoi booktrailer sul sito di Amazon.fr [https://www.amazon.fr/Gius-Gargiulo/e/B004N4QFI0/ref=aufs_dp_fta_dsk]

Giovanni Comisso, “vagabondo fra il romanzo e le scoperte dei paesaggi” *

“Affonda le mani nella vita, caro Nico, prima che tardi anni te lo impediscano”, scriveva nell’agosto 1968 Giovanni Comisso, ormai gravemente malato, al suo amico e biografo, Nico Naldini.

Viaggiatore di mare e di terra, autore di importanti libri di viaggio dedicati a Parigi, all’Italia e all’Oriente, Premio Strega nel 1955 con Un gatto attraversa la strada, Giovanni Comisso (Treviso, 3 ottobre 1895 – Treviso, 21 gennaio 1969) ha consegnato alla letteratura italiana diversi capolavori contemporanei (tra cui Il porto dell’amore 1924; Giorni di guerra 1930; Gioventù che muore 1949; La mia casa di campagna 1958). Libri che contengono alcune delle pagine più belle, più intime e personali dell’Italia raccontata tra gli anni del primo conflitto mondiale e le trasformazioni sociali del secondo dopoguerra.

Ma la letteratura di Comisso non può essere intesa semplicemente come il racconto della storia di quegli anni; con lui la scrittura è qualcosa che ha a che fare, profondamente, “religiosamente”, visceralmente con l’esistenza, il tempo, la disperazione, la morte:

“Ò due malinconie grandissime: 1° Il pensiero del tempo che passa senza averlo vissuto. II° il pensiero che la mia speranza d’arte non sia che una chimera”.

La scrittura comissiana rappresenta allora, come scriverebbe Carlo Bo, una precisa “condizione” dell’esistere, l’unica possibilità che abbiamo per “rivivere” e inebriarci di questa meravigliosa avventura che è la vita. Vita giocata, questa volta, sul piano dell’eternità.

Orio Vergani, Misure del tempo. Diario, p. 337, Baldini&Castoldi 2003

Info

Giacomo Carlesso, dottorando di ricerca presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi su Giovanni Comisso, è autore di diverse pubblicazioni: Goffredo Parise. Un invito alla lettura, Udine, Digressioni editore 2022; Il confine tra Eros e Thanatos in Giovanni Comisso e Dino Buzzati, in Buzzati e il confine, a cura di John Butcher e Marco Perale, Berlino, Peter Lang 2021; Tra fiction e odeporica. “Viaggio in USA e ritorno” di Giovanni Comisso in STUDI NOVECENTESCHI 2021; Giovanni Comisso a Fiume. Da “Il porto dell’amore” all’epistolario privato, in Visioni d’Istria, Fiume, Dalmazia nella letteratura italiana, Fabrizio Serra Editore, 2020.

Fa parte del comitato di redazione della rivista internazionale di studi «Ermeneutica Letteraria».

Milena Milani, scrittrice controcorrente alla ricerca della verità

“La funzione della letteratura, della cultura è anche quella di essere utile alla collettività, di inserirsi nella vita, di far meditare, di aiutare”, scriveva l’autrice in uno dei suoi pamphlet di Umori e amori (1982).

E proprio nella funzione di utilità riconosciuto alla cultura possiamo inquadrare la lunga parabola esistenziale di Milena Milani (Savona, 24 dicembre 1917 – Savona, 9 luglio 2013), una delle personalità femminili più significative nel secondo Novecento italiano, sia in ambito artistico che letterario.

Artista, poetessa, giornalista e traduttrice; animatrice e paladina, attraverso la scrittura letteraria, di quell’emancipazione femminile che trova nella Storia di Anna Drei (1947) uno dei suoi romanzi-simbolo negli anni in cui “il femminismo, le sue rivendicazioni erano di là da venire”. E di nuovo autrice, nel 1964, di quel romanzo che divenne subito un caso letterario per essere stato sequestrato, in quanto ritenuto “gravemente offensivo del sentimento comune del pudore”.

Scrittrice solitaria e anticonformista di romanzi, racconti, saggi e pamphlet, il nome di Milena Milani, troppo a lungo dimenticato, è così il simbolo della libertà – libertà dagli schemi, dalle convenzioni, libertà anche e soprattutto di essere se stessi –, ma diventa anche, come la protagonista Giulio, sinonimo della ricerca di verità e “anch’io”, conclude così la sua Prefazione de La ragazza di nome Giulio nell’edizione del 1978, “come lei, come tutte le donne e gli uomini della terra, non smetto di cercarla”.

Info

Alessandra Trevisan da anni si occupa di letteratura italiana. Ha pubblicato la monografia «Nel mio baule mentale»: per una ricerca sugli inediti di Goliarda Sapienza (Aracne 2020); si è occupata, tra gli altri, di Gabriele d’Annunzio, Clara Sereni, Adele Cambria, Anna Maria Ortese e Beppe Costa, Lalla Kezich. Dal 2017 collabora alla redazione della rivista «Archivio d’Annunzio» e dal 2018 di «Kepos – Semestrale di letteratura italiana»; è redattrice del lit-blog «Poetarum Silva» ed è co-fondatrice del progetto Le Ortique insieme a Viviana Fiorentino. Da anni si dedica allo studio di Milena Milani, scrittrice a cui ha dedicato molti suoi contributi critici. È curatrice, insieme ad Arianna Ceschin e Ilaria Crotti, di Venezia Novecento. Le voci di Paola Masino e Milena Milani (2020).

Due incontri dedicati “Alla (ri)scoperta del linguaggio letterario”

“Non si è scrittori solo perché si è scelto di dire certe cose, ma perché si è scelto di dirle in un certo modo”, scriveva J.P. Sartre in un suo famoso saggio del 1947.
Durante il nostro viaggio “Alla (ri)scoperta del linguaggio letterario”, Gualberto Alvino ci aiuterà a capire che cos’è la lingua letteraria e in che modo si distingue da quella di uso comune; in che cosa consiste il valore estetico di un testo letterario; che cos’è lo stile, quale il rapporto tra forma e contenuto, tra scrittore e lettore.
Due incontri che ci potranno aiutare a diventare scrittori e lettori più consapevoli, in un percorso affascinante e meraviglioso, ulteriormente arricchito dalla lettura di brani di grandi scrittori della letteratura, non solo italiana.

Info

Gualberto Alvino. Scrittore e filologo, da anni si occupa di linguaggio letterario ed è autore di importanti saggi di critica testuale e scrittura narrativa. È il principale studioso in Italia di Antonio Pizzuto, della cui Fondazione è consulente scientifico. Collabora con l’Istituto della Enciclopedia Italiana con recensioni e rubriche.

Ercole Patti “alla ricerca della felicità”

“Narratore sempre sospeso tra il gusto della favola e il senso della poesia” (Carlo Bo), Ercole Patti (Catania, 16 febbraio 1903 – Roma, 15 novembre 1976) è uno dei più raffinati scrittori del Novecento italiano. E quello che ci racconta, attraverso l’apparente semplicità di una parola sobria e nello stesso tempo evocativa, è un mondo fatto di “piccoli oggetti inutili”, “insignificanti”, e che sono, loro, la felicità:

“Il ricordo di quelle case di campagna che si confondono nel mio pensiero mi è rimasto nella mente come l’espressione più alta della felicità”.

Catania e Roma nella prosa pattiana non sono solo i principali palcoscenici narrativi (Quartieri alti, Giovannino, Cronache romane, La cugina, Un bellissimo novembre, Graziella, Diario siciliano, Roma dolce e amara…), ma innanzitutto rappresentano luoghi dell’anima: da una parte la Sicilia, il “mondo della nostalgia”; dall’altra, quella “Roma dolce e amara” in cui Ercole Patti “ha fissato un particolare modello di vita”.

Nel ricordo riproposto attraverso l’invenzione letteraria, prendono vita pulsioni giovanili, turbamenti adolescenziali, immagini sensuali, perbenismi borghesi che fanno da protagonisti accanto a quel mondo agreste, siciliano, e di cui, con i suoi profumi e i suoi colori, la parola lirica, intima, ci inebria. Ed ecco, anche, di Roma le osterie, i vicoli, le pensioncine, le case di appuntamento, le signore alle mostre, i cinematografari, le serate ai tabarin e i locali notturni…
È, insomma, il meraviglioso spettacolo della “commedia minima” quello che Ercole Patti ci racconta e di cui “il protagonista è unico, è la vita”.

Info

Sarah Zappulla Muscarà è filologa, critica letteraria, scrittrice e accademica italiana.
Ha curato, insieme a Enzo Zappulla, Ercole Patti. Tutte le opere (La nave di Teseo, 2019).
Come studiosa, si è occupata di di scrittori siciliani di primo piano tra Otto e Novecento (tra cui Verga, Capuana, De Roberto, Pirandello, D’Annunzio, Rosso di SaSecondo, Bonaviri, Borgese, Borgese, Brancati, Patti, Lanza) Numerosi inoltre i suoi contributi anche in campo teatrale e cinematografico.
Già componente del Comitato Nazionale per le Celebrazioni Pirandelliane, fa parte dei Comitati Nazionali per l’edizione critica delle Opere di Luigi Capuana e Federico De Roberto, del Comitato scientifico della Fondazione Verga, dell’Istituto di Storia dello Spettacolo Siciliano, del Centro Nazionale di Studi Pirandelliani, della Fondazione Bonaviri, del Consiglio Direttivo della Società di Storia Patria di Catania. È componente del Comitato Scientifico di importanti riviste nazionali e internazionali.
Nel 1984 ha fondato, insieme a Enzo Zappulla e agli eredi dei protagonisti della cultura isolana, l’Istituto di Storia dello Spettacolo Siciliano, con sede a Catania, al fine di recuperare, custodire e promuovere il patrimonio documentario della letteratura e dello spettacolo siciliani.

Salvatore Satta, “il genio della prosa”, e il suo Il giorno del giudizio

Nel 1987 il critico americano George Steiner, in un articolo apparso sul “New Yorker”, definì Il giorno del giudizio “uno dei capolavori della solitudine nella letteratura moderna, se non addirittura di tutti i tempi”. Ne era autore Salvatore Satta (Nuoro, 9 agosto 1902 – Roma, 19 aprile 1975), figura eminente del mondo giuridico italiano e tra i più straordinari narratori del secondo Novecento.

Il romanzo fu pubblicato postumo, prima dalla padovana Cedam (1977) e poi da Adelphi (1979), incontrando infine il favore di un pubblico largo e internazionale: 200.000 copie vendute, traduzioni in 17 lingue.

In apparenza la trama è semplice: a distanza di anni, ormai lontano dalla sua Nuoro per “cerare pane migliore di quello di grano”, l’io narrante – dietro cui si nasconde il “giudizio” dello scrittore – rievoca la sua gente, gli abitanti della Nuoro d’inizio secolo  Sono loro i protagonisti di una storia corale, che vengono nuovamente in vita attraverso la memoria, colti nei loro dissapori, nelle loro miserie, se non addirittura nel loro astio reciproco e costitutivo.

Basta inoltrarsi tra le pagine, tuttavia, per capire che Il giorno del giudizio è molto di più. È una riflessione sulla caducità dell’essere, del vivere e del morire, e ci riguarda tutti da vicino: “per conoscersi – è scritto nelle battute finali del romanzo – bisogna svolgere la propria vita fino in fondo, fino al momento in cui si cala nella fossa. E anche allora bisogna che ci sia uno che ti raccolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri come in un giudizio finale”.

Info

Bruno Pischedda è scrittore, saggista e docente universitario. Ha partecipato al Premio Strega nel 1996 con Com’è grande la città; si è occupato di critica editoriale, del rapporto tra giornalismo e letteratura, e di romanzi di intrattenimento. Tante le sue pubblicazioni dedicate a scrittori del Novecento italiano; tra queste, vincitrici di premi sono L’idioma molesto (Premio Viareggio 2016, per la saggistica) e Satta, il capolavoro infinito (Premio internazionale Forum Traia-ni, 2022). Da pochi giorni è in libreria il suo ultimo lavoro: La competizione editoriale. Marchi e collane di vasto pubblico nell’Italia contemporanea.

Fausta Cialente, l’impegno sociale e politico attraverso la parola letteraria

Fausta Cialente (Cagliari il 29 novembre 1898 – Pangbourne, 12 marzo 1994), punto di riferimento e animatrice del dibattito culturale intorno ai temi della disuguaglianza sociale e della parità dei diritti, è una delle più autorevoli e prestigiose figure femminili del Novecento italiano. Scrittrice, giornalista e traduttrice, soprattutto Fausta Cialente ha contribuito alla formazione della coscienza femminista in Italia, entrando a pieno diritto in quel solco europeo contrassegnato dall’impegno sociale e politico di tante intellettuali che, fin dall’Ottocento, si erano battute per il riconoscimento del ruolo sociale della donna. Premio Strega a 78 anni con Le quattro ragazze Wieselberger (1976), la vita privata di Fausta Cialente è contrassegnata da continui viaggi e spostamenti: prima al seguito del padre, ufficiale militare; e poi al seguito del marito, il musicista Enrico Terni, con il quale trascorse un lungo periodo ad Alessandria d’Egitto e poi al Cairo. Questo dato biografico, imprescindibile per meglio inquadrare la sua evoluzione sia in termini etici,  sia sociali che di scrittura, ha forgiato uno sguardo capace di (ac)cogliere le contraddizioni e il male della realtà circostante, segnando una nuova fase anche nella sua letteratura, che diventa così cosmopolita e multietnica.

Info

Francesca Rubini è autrice di una monografia su Cialente (Fausta Cialente. La memoria e il romanzo, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2019) e saggi su Pavese, Calvino e Banti. Interessata alla valorizzazione delle fonti letterarie, nel 2015 ha conseguito il titolo di archivista presso l’Archivio di Stato di Roma. Collabora con il Laboratorio Calvino (Sapienza Università di Roma).

Luciano Bianciardi, uno scomodo intellettuale di provincia

Probabilmente sarebbe rimasto un intellettuale di provincia se il 4 maggio 1954 non ci fosse stata l’esplosione della miniera di Ribolla, tragedia che avrebbe segnato per sempre le sorti della comunità dei minatori della Maremma e quelle, personali, di Luciano Bianciardi (Grosseto, 14 dicembre 1922 – Milano, 14 novembre 1971).                                                                                                           

E probabilmente questo professore di liceo –  che a Grosseto dirigeva la Biblioteca Chelliana, organizzava cineforum e conferenze, conduceva, insieme all’amico Carlo Cassola, un’inchiesta sui minatori maremmani e nei paesi  della zona andava a portare i libri con il suo Bibliobus – non avrebbe mai potuto immaginare che, a distanza di anni, avrebbe raggiunto la notorietà con uno dei libri più significativi del secondo Novecento italiano.

Poi lo scoppio di grisou al pozzo Camorra, le 43 morti, l’assoluzione della Montecatini. Luciano   Bianciardi non può rimanere fermo a guardare: ed ecco la sua partenza per Milano, simbolo della trasformazione culturale, del boom economico, e dove si muovono i nuovi attori del mondo del lavoro: le segretarie asessuate, i ragionieri, i grafici pubblicitari; ma è anche la città della Feltrinelli, dei frenetici ritmi di produzione, delle ore passate a tradurre, e poi…  del “torracchione”.

È la Milano dei cinema, dei teatri, della mondanità, dove però si spegne ogni tentativo di ribellione, che toglie ogni entusiasmo e in cui diventa “la vita agra”.

Info

Nata a Grosseto e laureata in lettere moderne alla Sapienza di Roma, dal 1975 Lucia Matergi ha insegnato italiano e latino in vari istituti. Dagli anni ’80 autrice di progetti legati alla multiculturalità, formatrice di teatro scolastico per la Regione Toscana, collaboratrice di “Scespir”, rivista della Rassegna Nazionale del Teatro Scolastico, fonda nel 1997 la Rassegna Provinciale del Teatro della Scuola- Premio Città di Grosseto, riferimento regionale per l’inclusione e il contrasto alla dispersione scolastica. Si mette in politica attiva nel 2001, svolgendo ruoli direzionali nei DS e poi nel PD, è vicesindaco di Grosseto dal 2006 al 2010 e consigliera regionale dal 2010 al 2015. Parallelamente si occupa della Fondazione Luciano Bianciardi, curandone istituzionalmente la ricostituzione, assumendo anche la carica di presidente pro tempore nel 2006. Nel 2012 fonda l’Istituto Gramsci di Grosseto di cui assume la presidenza. Formatrice per docenti su didattica e drammatizzazione, collaboratrice della rivista “La Ricerca” ed. Loescher, nel 2016 fonda l’Associazione Culturale “Accademia delle Belle Storie”, specializzata nella progettazione e realizzazione di laboratori creativi sulla narrazione attraverso il linguaggio teatrale. Come esperta di letteratura, dal 2018 svolge attività di reading letterari. Nel 2018 è chiamata a sostenere il ruolo di Direttrice scientifica della Fondazione Luciano Bianciardi e da allora svolge all’interno di tale associazione il lavoro di organizzazione e ricerca.

Paolo Volponi, un intellettuale rinascimentale del Novecento

La traiettoria biografica e letteraria di Paolo Volponi (Urbino, 6 febbraio 1924 – Ancona, 23 agosto 1994) coincide con gli snodi storici decisivi del nostro Paese e percorre gli anni che vanno dal Fascismo fino al crollo del muro di Berlino. Paolo Volponi non è stato solo uno scrittore, ma anche un manager, un collezionista d’arte e uomo politico.

La sua produzione narrativa può essere letta come il lento, ma inesorabile evolversi di un Paese che da agricolo si trasforma in industriale con tutte le conseguenti aporie e contraddizioni del caso, fino ad arrivare a un capitalismo di genere finanziario, in cui l’industria e gli operai sembrano sparire per lasciare spazio a speculazioni e a nuovi tipi di sfruttamento.

In Paolo Volponi la cultura umanistica e la cultura tecnico-scientifica si fondono in un rinnovato universalismo rinascimentale, che poi è specchio della sua città d’origine, Urbino, gioiello urbano di cui lo scrittore sembra esserne degno figlio ed erede.

Info

Scopriremo Paolo Volponi con Piergiorgio Mori, attualmente insegnante di Italiano presso il liceo George Baritiu di Cluj Napoca su incarico del Ministero degli Esteri italiano. E’ autore del saggio “Scrittori nel boom. Il romanzo industriale negli anni del miracolo italiano” ed è uno degli autori del volume “Italian Industrial Literature and Film. Perspectives on the Representetion of Postwar Labor and film” uscito nel 2021 per i tipi della Peter Lang Publishing.

Il caso editoriale Dante Arfelli e i suoi personaggi “superflui”

Dante Arfelli (Bertinoro, 5 marzo 1921 – Ravenna, 9 dicembre 1995), professore di scuola della provincia romagnola e Premio Venezia (1949) con I superflui, divenne in breve tempo protagonista della scena letteraria internazionale, e il romanzo vincitore scalò le classifiche dell’immenso mercato editoriale statunitense.
Eppure su questo scrittore, schivo e appartato, da troppo tempo si abbatte come una condanna implacabile, con un torto imperdonabile, il silenzio dell’editoria italiana. E in effetti è proprio il silenzio ciò che contraddistingue Dante Arfelli, scrittore solitario che dà voce e rende dignità a quegli anti-eroi che vivono lontani dai grandi riflettori della Storia. Nell’Italia del dopoguerra sempre più sedotta dallo scintillio degli oggetti di massa, ben diversa è l’esistenza a margine di questi personaggi, che accettano su di sé il sapore amaro della povertà, della malattia, del fallimento.
E’ una “poetica della disillusione” che attanaglia lo stesso Arfelli, sempre più isolato e preda di quel male oscuro che lo avrebbe portato a trascorre gli ultimi giorni di vita negli ambienti sereni e silenziosi di quella casa di riposo di Ravenna, dove si sarebbe spento a 74 anni.

“Però Luca sentiva che c’era qualcosa che lo spingeva via e neppure lui sapeva bene che cosa fosse: forse la noia degli anni trascorsi sempre nello stesso luogo. Così partiva, pur senza farsi illusioni”

Da “I Superflui”

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Marco Sangiorgi ha insegnato materie letterarie in istituti d’istruzione secondaria delle province di Treviso e di Ravenna. Si occupa di letteratura e critica letteraria; suoi saggi critici sono apparsi su diverse riviste specializzate. Collabora con le Edizioni del bradipo, che ha contribuito a fondare nel 1989.Cura e organizza la rassegna culturale “Caffè Letterario” di Lugo, attiva fin dal 2005. Ha pubblicato: Il giallo italiano come nuovo romanzo sociale (Ravenna, Longo, 2004); L’allodola del mio villaggio. Didattica della poesia e della lirica haiku (Ravenna, D. Montanari, 2006); Pare…letteratura. Neo-italiano, blog, paraletteratura e altre forme selvagge di comunicazione (Ravenna, Longo, 2008); Giovani scrittori a Cesenatico. Arfelli, Casali, Montesanto, Panunzio (Ravenna, Longo, 2008).

Guido Morselli, il genio segreto del Novecento italiano

Su Guido Morselli (Bologna, 15 agosto 1912 – Varese, 31 luglio 1973), lo scrittore incompreso e dimenticato, grava il peso del “gran rifiuto” editoriale. Filosofo solitario, scrittore-saggista, ecologista ante litteram, è un unicum nella letteratura italiana del Novecento. Il suo è un viaggio, tra le pagine della storia, della filosofia e della scrittura, alla continua ricerca di un senso all’esistere. Guido Morselli ha fatto della letteratura un’esperienza di vita e la vita, attraverso il piano della realtà e della finzione narrativa, viene presentata e colta nei suoi aspetti più nascosti. Ecco allora affiorare, nei suoi romanzi, il mondo della chiesa, il comunismo, gli amori e la morte, il ventaglio dei possibili, la storia e il suo contrario, il suicidio. Fino a immaginare la dissoluzione del genere umano in Dissipatio H.G., il suo capolavoro. Pochi mesi dopo la stesura di Dissipatio H.G., Guido Morselli scelse quel gesto finale, quel colpo di pistola, la ragazza dall’occhio nero, che avrebbe portato questo intellettuale a entrare da genio postumo e incompreso nel panorama della letteratura novecentesca.

“Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato” (Diari, XIII, 6.11.1959)

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Linda Terziroli si è laureata in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Milano, con una tesi dedicata al tema dell’amore e della morte nell’opera di Guido Morselli. Ha fondato, nel 2008, insieme al poeta e scrittore Silvio Raffo, il Premio letterario Guido Morselli e ha ideato la mostra permanente all’interno della Casina Rosa, dimora dello scrittore, a Gavirate. Curatrice dei volumi Lettere ritrovate (NEM, 2009), Guido Morselli. Una rivolta e altri scritti 1932-1966 (Bietti, 2012), Guido Morselli, un Gattopardo del Nord (Macchione, 2016), ha scritto Un pacchetto di Gauloises. Una biografia di Guido Morselli (2019, Castelvecchi) si è occupata dello scrittore in diversi saggi e articoli. Ha collaborato con “La Provincia di Varese” e con “Lombardia Nord Ovest”, “Linkiesta”, “L’Intellettuale dissidente”, “Dissipatio”. Attualmente collabora con Pangea.news.

Tommaso Landolfi. Risvolto bianco per desiderio dell’autore

Tommaso Landolfi (Pico, 9 agosto 1908 – Ronciglone, 8 luglio 1979), intellettuale aristicratico ed elitario, è sicuramente una delle gemme preziose della letteratura del Nocevento italiano.

Ben lontana dai propositi ideologici e politici della narrativa neorealista, la sua scrittura, ora arcaica e desueta, ora alta e raffinata, si innalza verso il mondo dell’alterità e del “fantastico”. Ma il tema del fantastico e del tenebroso, dell’orrido e dell’irrazionale, non è fine a se stesso, diventa semmai una precisa modalità espressiva attraverso cui Landolfi mostra la realtà al di là della sua apparenza, al di là della sua ordinarietà. Ecco allora svelarsi una sorta di lucido e disperato cinismo intellettuale: la scrittura landolfiana non vuole essere consolatoria né offrire vie di fuga. È un’apertura, una finestra spalancata su quell’ “ignoto”, su quell’ “imponderabile” a cui il lettore è invitato ad affacciarsi. E che subito dopo viene richiusa. Lasciando così in bilico, sull’orlo del precipizio, domande che rimarranno senza risposta.

“In ogni caso stiano, i lettori, a quanto loro si comunica, e non cerchino di penetrare le intenzioni dell’autore, sovente a lui stesso oscure”

Da: “Questioni d’orientamento”, in Tommaso, Landolfi, Le più belle pagine, Adelphi 2001

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Giovanni Maccari, scrittore e critico letterario, ha curato per la casa editrice Adelphi la pubblicazione delle opere di Tommaso Landolfi. E’ autore di racconti e di saggi su scrittori italiani, tra cui Giuseppe Pontiggia e Guido Piovene. Si occupa di letteratura russa: ha curato il volumetto La lettura – Kaštanka (traduzione di Tommaso Landolfi, Adelphi, 2012) di Anton Cechov, e l’edizione del racconto Nemici (traduzione di Leone Ginzburg), per l’editore Quodlibet.  E’ autore dei romanzi Gli occhiali sul naso. Vita romanzesca di Isaak Babel’ e dei suoi anni tempestosi (Sellerio 2011); e Vita di Lidia Sobakevic (Pendragon 2015).

Paola Masino, il realismo magico “della massaia”

Colta, emancipata, raffinata ed elegante, Paola Masino (Pisa, 20 maggio 1908 – Roma, 27 luglio 1989) è a pieno titolo una delle scrittrici del Novecento italiano che ancora oggi rivela tutta la sua attualità.  Intellettuale eclettica, prende le distanze  dal perbenismo ipocrita dell’Italia fascista sfidando, con la sua esperienza di vita e attraverso la scrittura,  quegli stereotipi sociali che relegavano il ruolo della donna all’interno delle asfittiche  mura domestiche.

La scrittura con Paola Masino diventa così strumento di denuncia delle storture della società piccolo-borghese. Una scrittura straniante, che si arricchisce di metafore e allusioni e che si muove tra il grottesco di Savinio, l’astrazione metafisica di De Chirico e la magia del realismo bontempelliano. Una prosa dunque che, nell’esattezza del dettaglio e nella lucidità  descrittiva di ogni singolo particolare,  coglie la realtà al di sotto della sua patina convenzionale, proprio lì dove si nasconde l’assurdo. E in questo palcoscenico, che è la vita, si muovono i suoi personaggi che si raccontano nelle loro ossessioni, nelle loro manie, nelle loro fragilità.

In questo complesso universo espressivo, si racchiude la potenza narrativa di Paola Masino che fa del linguaggio letterario lo strumento indagatore (e di riflessione) del mondo circostante.

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Barbara Gizzi è nata a Roma dove vive e lavora. Laureata in Lettere conseguita presso l’Università “La Sapienza”, ha poi vinto un dottorato di ricerca in Italianistica. È stata cultore della materia del Corso di Laurea in Studi Italiani; è stata membro della Commissione Prosa del Ministero per i Beni e le Attività culturali. E’ autrice di diversi saggi letterari; è autrice di programmi per Rai Educational e Sky; ha scritto per la Rai lo sceneggiato radiofonico “Espresso Siracusa – Milano”; si è occupata di critica teatrale; è docente, autrice teatrale, sceneggiatrice e regista; ha fondato, con Massimo Cimaglia, la società “Terra Magica Arte e Cultura” impegnata nella valorizzazione dell’area mediterranea attraverso il teatro, il cinema, l’arte. 

Gesualdo Bufalino e il gioco seduttivo del linguaggio

Gesualdo Bufalino, nato a Cosimo nel 1920 (RG) è uno dei principali rappresentanti della letteratura italiana contemporanea.

Che cosa rappresenta per noi Gesualdo Bufalino e perché ancora deve essere ricordato?

Gesualdo Bufalino ha posto al centro della sua narrativa il tema del ricordo e della memoria, ha saputo portare la narrativa italiana a livelli alti di sperimentazione linguistica; una sperimentazione non fine a se stessa ma sempre attenta al gioco seduttivo del linguaggio, alla scelta sofisticata, ricercata, mai banale di parole che, nelle sue opere, si caricano di una valenza anche musicale e fortemente visiva.

Rimasto esordiente fino all’età di 61 anni, pubblicò il suo primo romanzo nel 1981 con Diceria dell’untore che gli valse il Premio Campiello. Nel 1988 vinse il Premio Strega con Le menzogne della notte.

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Scopriremo a fondo Gesualdo Bufalino insieme a Giuseppe Digiacomo, Presidente della Fondazione Bufalino.

Silvio D’Arzo, una vita a “casa d’altri”

Silvio D’Arzo (Reggio Emilia, 6 febbraio 1920 – 30 gennaio 1952), una delle personalità più isolate nel e dal panorama letterario del dopoguerra. può essere ormai considerato uno scrittore-cult.

E’ la “brevità” la cifra esistenziale che caratterizza questo scrittore: la brevità di una vita prematuramente stroncata dalla leucemia, la brevità del periodo della sua rivalutazione editoriale post-mortem, la brevità dei suoi racconti.

Nonostante questo,  Silvio D’Arzo rimane uno degli scrittori più importanti del secondo ‘900 italiano.

Personaggio “anomalo” nel periodo fascista in cui è cresciuto – dove primeggiavano il superomismo e il narcisismo dannunziani -, D’Arzo prende le distanze anche dall’impegno civile e politico del Neorealismo. E proprio quell’eccesso di “scrupolo”, quel senso di estraneità alla vita, quell’essere inafferrabile caratterizzano la meteora esistenziale di questo scrittore.

E da qui può iniziare il viaggio all’interno del suo mondo letterario dove i protagonisti, ben lungi dall’essere illuminati dai riflettori della Storia, conducono vite appartate, marginali, ma significative  nel loro semplicemente “esserci”. 

Beh, Vivono. Vivono e basta, mi pare” (S.D’Arzo, Casa d’altri, p.7, Einaudi 1980).

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Roberto Carnero insegna Letteratura italiana presso il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione dell’Università di Bologna (Campus di Forlì). È critico letterario ed editorialista per varie testate, tra cui “Avvenire”, “Il Piccolo”, “Il Sole 24 Ore”, “Famiglia Cristiana”. Tra i suoi ultimi libri, pubblicati da Bompiani: Il bel viaggio. Insegnare letteratura alla Generazione ZLo scrittore giovane. Pier Vittorio Tondelli e la nuova narrativa italiana; Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini. Sempre per Bompiani, ha curato, di Guido Gozzano, Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India e, di Silvio D’Arzo, Essi pensano ad altro e Casa d’altri e altri racconti. Presso Giunti TVP – Treccani è autore, con Giuseppe Iannaccone, di una fortunata storia della letteratura italiana con antologia di testi per il triennio delle scuole superiori, la cui editio maior si intitola Vola alta parola

Fausta Cialente. La scrittura come strumento di lotta in nome della libertà e della giustizia, sociale e politica

Fausta Cialente (Cagliari, 1898-Pangbourne, 1994) può essere considerata una delle scrittrici italiane più importanti del Novecento italiano e una delle figure intellettuali più significative della cultura europea.

Narratrice, giornalista militante e radiofonica, traduttrice, insieme a Sibilla Aleramo è stata tra le prime ad appoggiare la causa femminile in Italia e a farsi promotrice del femminismo moderno. La vita da apolide, la sua famiglia triestina, il suo periodo egiziano ad Alessandria, i viaggi in Europa e il suo rapporto con Trieste, la Resistenza, l’impegno anti-fascista e la decolonizzazione: questi i temi centrali che ritornano nell’arco della sua produzione letteraria, che si nutre della sua cultura multietnica e cosmopolita.

Ricordare e conoscere le opere di Fausta Cialente significa dare il necessario riconoscimento innanzitutto a una donna che ha trovato nella parola letteraria, ricercata e precisa, delicata e lucida, a volte esoterica, a volte fiabesca, quella libertà espressiva che diventa strumento di lotta in nome della libertà, della giustizia, sociale e politica.

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Scopriremo questa grande scrittrice con Valentina Di Cesare, professoressa di Lettere, insegnante di Lingua italiana a studenti stranieri presso il Politecnico di Milano ed esaminatrice PLIDA per la Società Dante Alighieri. Ha pubblicato i romanzi Marta la sarta (Tabula Fati 2014) tradotto in lingua romena e in lingua tedesca, L’anno che Bartolo decise di morire (Arkadia, 2019) e il racconto lungo Le strane combinazioni che fa il tempo (Urban Apnea 2018) recentemente tradotto in inglese.

Luigi Malerba, il grande sperimentatore linguistico

Abile giocatore di parole, inventore di nuove strutture della narrazione, astuto costruttore di mondi semantici, Luigi Malerba (1927-2008) è uno dei principali scrittori della letteratura italiana della seconda metà del ‘900.

Centrale nell’universo narrativo malerbiano è l’importanza assegnata alla parola: una parola ricercata, preziosa, materica, antica ma nello stesso tempo trasformata e deformata.

E proprio da queste continue deformazioni linguistiche, nel divertissment con cui Malerba piega le parole scaturisce l’ironia, altro segno distintivo della sua scrittura. Un’ironia che emerge proprio lì dove subentra l’assurdo, il non-sense dissacrante, il paradosso: strumenti linguistici che Malerba utilizza non come gioco fine a se stesso, ma anche e soprattutto per cercare un nuovo senso da dare alla realtà.

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Scopriremo a fondo Luigi Malerba con Francesco Muzzioli, professore prima di “Letteratura italiana moderna e contemporanea” e poi di “Teoria della letteratura” della Facoltà di Lettere presso l’Università di Roma “La Sapienza”. F. Muzzioli è autore, tra gli altri, di saggi sulle avanguardie italiane degli anni Sessanta, su monografie su Pasolini, Éluard e Malerba.

Tra i suoi studi, oltre alle ricostruzioni della fortuna critica di Michaelstedter e Saba, uno spazio è stato dedicato alla letteratura fantastica e all’allegoria. All’attività del critico Francesco Muzzioli affianca anche l’interesse per la poesia. Dirige il blog letterario “Critica integrale”.

Scrittori nel boom: Ottiero Ottieri (1924-2002) e Paolo Volponi (1924-1994)

L’Italia tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta muta volto: da paese essenzialmente agricolo e rurale si trasforma in uno dei Paesi più industrializzati al mondo. Ma come tutte le crescite improvvise non mancano scompensi e storture:  il crescente divario tra Sud e Nord, la perdita dell’innocenza con una società che si fa più cinica e disincantata, il consumismo che rende il Paese più materialista e alienato. Inoltre, una consistente fetta della società che è tagliata fuori da questo apparente Bengodi comincia a gridare la propria rabbia rabbia che esploderà in quegli anni di piombo che insanguineranno l’Italia degli anni Settanta. A denunciare le suddette storture e a sottolineare i cambiamenti di quella società sono soprattutto due, appartenenti al cosiddetto filone della Letteratura industriale: Ottieri e Volponi. Sono anni in cui la letteratura aveva un dialogo importante con la società e ne sapeva scrutare le evoluzioni e i lati oscuri. Proprio sotto questa luce vanno rivisti questi due autori in particolare e le loro denunce ancora oggi estremamente attuali in un contesto in cui le tematiche di quei romanzi, dalla disoccupazione al mobbing, dalla condizione femminile all’emigrazione per non tacere delle morti sul lavoro rappresentano purtroppo ancora una parte importante della cronaca dei nostri giorni.

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Scopriremo a fondo Paolo Volponi e Ottiero Ottieri con Piergiorgio Mori, attualmente insegnante di Italiano presso il liceo George Baritiu di Cluj Napoca su incarico del Ministero degli Esteri italiano. E’ autore del saggio “Scrittori nel boom. Il romanzo industriale negli anni del miracolo italiano” ed è uno degli autori del volume “Italian Industrial Literature and Film. Perspectives on the Representetion of Postwar Labor and film” uscito nel 2021 per i tipi della Peter Lang Publishing.